CESARE PASCARELLA
PROSE
(1880 — 1890)
Edizione curata,
integrata e sola riconosciuta dall'Autore
S. T. E. N.
Società Tipografico-Editrice Nazionale
(già Roux e Viarengo — Marcello Capra — Angelo Panizza)
Torino, 1920.
TUTTI I DIRITTI
DI RIPRODUZIONE, DI TRADUZIONE, D'ADATTAMENTO E D'ESECUZIONESONO RISERVATI PER TUTTI I PAESI
Copyright 1920, by the Società Tipografico-Editrice Nazionale(S.T.E.N.), Turin.
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Gli scritti che si raccolgono in questo volume, meno ilCaffè Greco, furono pubblicati fra il 1880 e il 1890 nel«Capitan Fracassa», nella «Nuova Antologia», nel «Fanfulla»e nel «Fanfulla della Domenica».
Il Caffè Greco, letto dall'Autore nel 1890 a Padova nell'auladella Gran Guardia e a Firenze nella sala maggioredel Circolo artistico, si stampa ora per la prima volta.
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Nello studio dove eravamo non si poteva piùvivere. Si stava in una soffitta al sesto piano di uncasamento altissimo, dove, nell'estate si bruciavacome in un forno, e nell'inverno, nei giorni di pioggia,anche i quadri ad olio diventavano all'acquarello.E come se questo fosse poco, sotto a noi abitava lapiù numerosa e più filarmonica famiglia che io abbiamai conosciuto, il cui capo, un omone con un barbonenero che gli scendeva fin sulla pancia, era impiegatonelle regie poste e suonava il trombone. Quandotornava in casa, mentre la moglie gli apprestava ildesinare, egli si metteva a soffiare nel suo strumentoe cominciava il terremoto.
Le sue figliuole poi, non facevano altro che tormentareun povero pianoforte con la coda, il qualemandava certi suoni, emetteva certi lamenti e certiguaiti, come se gliela pestassero.
Un giorno, mentre il trombone del nostro vicinobrontolava più fastidiosamente del solito, il mio compagnodi studio, misurando l'angusta soffitta colpasso dell'uomo che ha da dire cose gravi, mi confidòcome un nuovo tormento venisse ad aggiungersi altrombone e al pianoforte.
— A coda! — mormorai io.
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— Già. Ed è a coda anche il nuovo istrumento ditortura.
— Cioè?
— Guarda! — mi disse allora l'amico; e apertala finestra mi accennò una gabbia di vimini, entrola quale nereggiava un merlo spennacchiato. Poirichiuse le imposte e incominciò a discorrere perprovarmi che noi due, lì dentro quella soffitta, cilogoravamo inutilmente l'intelligenza; che bisognavatrovare uno studio decente; che non era possibilerimanere più a lungo in quel bugigattolo. E incrociandole braccia sul petto concluse: — Non hai maipensato che se ci dessero l'ordinazione di dipingereun gran quadro saremmo costretti a rifiutarla permancanza di spazio?
— Sarebbe doloroso.
— Per noi e per l'arte nazionale.
Insomma, restammo d'accordo sulla necessità assolutadi metterci alla ricerca di uno studio, dove, semai qualcuno ce l'ave