OLINDO GUERRINI
(Lorenzo Stecchetti)
——————
BRANDELLI
A. Gorlini e C. Via Moscova, 39 Milano.
OLINDO GUERRINI
(LORENZO STECCHETTI)
Nuova edizione su quella di A. Sommaruga
MILANO
CASA EDITRICE LIBRARIA MODERNISSIMA
«FLOREAL LIBERTY»
di ROSSI ARTURO, Via Pontaccio, 19
—
1911
Ecco come andò la cosa.
Nell’inverno del 1868 io davo ad intendere alla mia famigliadi studiar legge; anzi per confermarla vie piùnell’errore, alla fine di quell’anno mi laureai.
(Parentesi. Mi ricordo che ci chiusero nell’Aula Magnadell’Università. Eravamo otto o dieci candidati, di quelliallegri come non se ne trovano più. Venne il professoredi Diritto Canonico, munito di una borsa gigantesca checonteneva la bellezza di sessanta palle. Ognuno di noi immersela mano nel venerando borsone ed estrasse una pallasola, il cui numero corrispondeva a quello di una tesida svolgere in iscritto. Mi toccò una tesi laconica: DelComune; una tesi che non conoscevo nemmeno di saluto.Il professore se ne andò e noi ordinammo la colazione. Ciparve che il vino, che era buono dovesse rischiararci leidee, e ne bevemmo... si sa... ne bevemmo... con moltopiacere. Mi ricordo anche, un po’ confusamente, di averballato con molta energia, insieme ai colleghi, intorno adun mappamondo in mezzo all’aula, e di aver riscossi unanimiapplausi per l’esecuzione brillante dell’esercizio ginnasticodetto l’albero forcuto. Sul tardi ci decidemmo a lavorare,ed io comunicai i miei bollenti spiriti all’operadella mia sapienza giuridica. Cominciai coprendo di vituperiiil cranio di Clemente VII perchè distrusse la repubblicafiorentina, e finii rimproverando il ministro Menabreaperchè dopo Mentana non era andato a Roma.Domando io che cosa c’entrava questa roba in una tesidi diritto amministrativo? E tra il principio e la fine ciera una tempesta di punti ammirativi, di apostrofi, di sarcasmi,d’esclamazioni; c’erano dentro tutte le più calde[6]figure rettoriche possibili. Era insomma una tesi un pocobrilla. Cinque o sei giorni dopo, la mattina a digiuno,coll’abito a coda di rondine e la cravatta bianca, dovettirecarmi all’Università per leggere e sostenere pubblicamentela mia tesi davanti alla Facoltà ed agli ascoltatori.Lessi, ma in parola d’onore, avrei preferito di non leggere.Mi vergognavo. Tutto quel lirismo bacchico recitatoa bassa voce da un giovine a digiuno, in soggezione ecolla voce spaurita, doveva fare un bell’effetto. Alle interrogazionidei professori, m’impaperai, dissi degli spropositicavallini, feci una figura scellerata, e fo