IL DOLCE FAR NIENTE.


IL
DOLCE FAR NIENTE

SCENE
DELLA VITA VENEZIANA DEL SECOLO PASSATO

DI
ANTONIO CACCIANIGA

TERZA EDIZIONE.

MILANO
FRATELLI TREVES, EDITORI
1891.


PROPRIETÀ LETTERARIA

Riservati tutti i diritti.

Tip. Fratelli Treves.


[1]

IL DOLCE FAR NIENTE

I.

Nel secolo passato, al tempo che i nostrinonni in parrucca colla coda, facevano una cortespietata alle nostre nonne in toppè, la città diTreviso non era così linda come al giorno d'oggi.Fabbricata, a quanto sembra, prima dell'invenzionedello spago, la linea retta non apparivache per accidente. Ogni persona che fabbricasseuna casa, aveva qualche motivo per collocarela sua fabbrica un passo più avanti o più indietrodel vicino, o formava un angolo a drittao a sinistra, per vedere il sole più presto o piùtardi secondo i suoi gusti. Allora nessuno parlavadi libertà, ma nessuno s'immaginava che[2]si potesse impedire ad un cittadino di erigereuna casa a suo talento, anche in mezzo allapiazza se lo avesse trovato opportuno. Fruttodell'assoluta libertà era che ognuno pensavaper sè, per la qual cosa Treviso è risultata diun pittoresco indescrivibile. Le strade a zig-zagalte e basse, ad angoli sporgenti o rientranticon le finestre e le porte a capriccio,con portici o senza portici, secondo le idee delproprietario. La polizia municipale non era ancorainventata, i municipi non avevano nè ilmedico, nè l'ingegnere, nè la commissione dell'ornato,che sorvegliassero l'igiene pubblica, lestrade ed i fabbricati.

In conseguenza le vie non erano selciate nèilluminate di notte, e tutti gettavano dalle finestrele immondizie delle case. L'erba crescevarigogliosa per le strade, ove i polli ruzzolavanonelle spazzature e le lavandaje distendevano ilbucato.

Al tramonto del sole suonava l'Ave-Maria, emezz'ora dopo si poteva giuocare a gatta ciecae rompersi il collo per la città, immersa nelletenebre più profonde.

[3]

Chi voleva veder chiaro andava a spasso colsuo lanternino in mano, o attaccato al cappelloa tre spicchi; e chi preferiva le tenebre nonaveva bisogno di spegnere i lumi; e non abbiamomai udito che i nostri nonni si sieno lamentatidi tali abitudini. Anzi abbiamo delleragioni per credere che gl'innamorati ed i ladri,fra i quali corrono certe analogie, fosseroperfettamente soddisfatti.

I frati e le monache avevano prodigati i loroconventi, ed ogni mattina l'aria echeggiava delcontinuo frastuono delle campane, suonate alladistesa ed a tocchi, a gloria del cielo e dei santied in perpetuo tormento delle orecchie dei peccatori.

In quel tempo, ed appunto in una mattina diprimavera del 1771, due giovani della medesimaetà, uscivano da porta Altinia, e si avviavanoa piedi verso Venezia.

Erano entrambi, come succede sovente a questomondo, ricchi di genio e poveri di contanti;ma la ricchezza dei giovani non istà nella borsa,ma nel cervello e nel cuore, e in questo sensoerano milionari. Portavano il fardello sulle spalle[4]colla baldanza dei loro quattordici anni, e aspiravanol'aria fresca della campagna con un'ebbrezzache brillava negli occhi, e sulle labbra.Andavano a

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